I beni musicali: bilanci e prospettive a vent’anni dal Codice Urbani

Convegno nazionale di studi

  • Data:

    28 NOVEMBRE
    -
    29 NOVEMBRE 2024
     
  • Luogo: Museo archeologico nazionale, Aquileia

L’anno 2024 segna un momento importante per gli operatori del mondo culturale: ricorrono infatti i vent’anni dall’entrata in vigore del Codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004), norma fondamentale di settore nel panorama legislativo nazionale. Promosso dall’allora Ministro dei Beni e delle Attività culturali Giuliano Urbani, il Codice ha inteso fornire una sistemazione alla legislazione italiana in tema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale italiano, cominciata agli inizi del XX secolo e giunta a compiuta maturazione con le due storiche leggi Bottai del 1939. Nella sua attuale formulazione, nonostante gli intercorsi processi di revisione, il Codice rimane in parte ancorato a paradigmi teorici e prassi operative delineate in quelle due leggi, ove il principio di ‘coseità’ viene a porsi quale condizione essenziale affinché un bene possa beneficiare di tutela da parte dell’ordinamento.

All’interno di questa cornice normativa, quale spazio di regolamentazione è oggi riservato all’ampio ventaglio di beni di interesse musicale? Nel Codice, la musica continua a comparire soltanto nella fugace menzione degli ‘spartiti musicali’ (art. 10 co. 4 lett. d), intesi quali oggetti di pregio eventualmente portatori di interesse storico e bibliografico, dunque nell’irrilevanza del peculiare portato immateriale da essi veicolato. 

La problematica impostazione del Codice sul tema della ‘musica come bene culturale’, tuttavia, è stata da tempo e da più parti messa in luce: in ambito giuridico internazionale, soprattutto grazie al contributo dell’UNESCO, le numerose convenzioni susseguitesi dal termine del secondo conflitto mondiale hanno condotto ad un graduale ampliamento della nozione stessa di Cultural Heritage, oggi comprendente non più soltanto monumenti o collezioni di oggetti, ma anche pratiche,  rappresentazioni ed espressioni creative di cui comunità, gruppi sociali o singoli individui si fanno portatori. Ciononostante, il Codice è in grado di tutelare il delicato ecosistema di tali manifestazioni culturali soltanto a patto che esse siano rappresentate da testimonianze materiali (art. 7 bis), evidenziandosi così la pur residua ma tenace riluttanza del legislatore italiano ad aderire ai rapidi processi di ‘globalizzazione’ del patrimonio culturale.

Da oltre vent’anni, peraltro, le discipline musicologiche promuovono una riflessione congiunta con i diversi soggetti dell’Amministrazione, nel tentativo di giungere anzitutto all’elaborazione di una definizione condivisa del concetto di ‘bene musicale’, categoria per la quale un oculato esercizio delle funzioni di tutela e valorizzazione sembra comportare il preventivo riconoscimento di alcuni tratti distintivi. Benché a riguardo le comunità scientifiche abbiano formulato puntuali considerazioni, e nonostante la recente introduzione del profilo di ‘funzionario musicologo’ nei quadri del Ministero, molte questioni rimangono aperte.

Nel contesto di una regione a intrinseca vocazione transfrontaliera come il Friuli Venezia Giulia, e in una città, Aquileia, che ospita una delle più importanti istituzioni museali della regione, il Museo Archeologico Nazionale, il convegno mira a sviluppare un’ampia riflessione sul tema dei beni musicali, riprendendo quel dialogo interdisciplinare e intersettoriale tra studiosi, funzionari e operatori culturali già avviato grazie ad analoghe iniziative pregresse. Un dialogo che ha anzitutto l’obiettivo di tracciare un bilancio sulle numerose esperienze regionali, nazionali e internazionali realizzate a vent’anni dall’entrata in vigore del Codice; uno spazio che intende anche porsi quale momento di confronto, per tratteggiare possibili soluzioni condivise per il futuro di questa preziosa componente del patrimonio culturale italiano.

 

Contatti

Alessia Zangrando

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Elia Pivetta

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